PARITA’ DI GENERE E DONNE INVENTRICI: UN GAP DA SANARE

 

Abbiamo da poco celebrato il 2 giugno, 78 anni dalla proclamazione della Repubblica Italiana e grazie anche al voto delle donne che votarono per la prima volta nel 1946 al referendum istituzionale, l’Italia cambia pagina.

“Eravamo consapevoli che il voto alle donne costituiva una tappa fondamentale della grande rivoluzione italiana del dopoguerra. Avevamo finalmente potuto votare e far eleggere le donne. E non saremmo state più considerate solo casalinghe o lavoratrici senza voce ma fautrici a pieno titolo della nuova politica italiana”. Così la deputata Filomena Delli Castelli ricordava il 2 giugno 1946, il giorno in cui anche le donne occuparono il proprio posto nella vita politica italiana.

Il 2 giugno, oltre a scegliere la forma di governo repubblicana, gli italiani e le italiane elessero l’Assemblea Costituente, che avrebbe dato al neonato Stato una nuova base giuridica.

Ed è innegabile che senza le prime 21 (su 556) donne elette  all’Assemblea Costituente anche la nostra Carta Costituzionale e la nostra storia sarebbero andate diversamente.

Erano insegnanti, giornaliste, attiviste di partito che contribuirono con il loro punto di vista a fondare un’Italia basata su diritti e libertà, sul lavoro, sull’uguaglianza e sulle pari opportunità per cittadini e cittadine.

Mi piace ricordare Teresa Noce, torinese, sindacalista eletta nelle fila del partito comunista che diede un importante contributo all’art. 3 della Costituzione con l’inserimento della frase: “Tutti i cittadini (….) sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso”, base giuridica per il raggiungimento della piena parità di diritti tra uomo e donna.

La presenza femminile in politica e nei luoghi decisionali, quindi, non è solo una questione di numeri, ma soprattutto di nuove prospettive, perché le donne possono portare un punto di vista differente e contribuire in maniera determinante allo sviluppo della nostra società.

Un gap di genere riguarda anche le donne inventrici

Sebbene il contributo delle donne alla scienza e alla tecnologia sia aumentato negli ultimi decenni, il numero delle donne inventrici è ancora persistentemente basso rispetto agli uomini confermando un gap di genere anche in questo ambito.

Possiamo dire che i marchi, i disegni e i brevetti rappresentano l’unità misura della competitività nella società della conoscenza e gli inventori e le inventrici possono  diventare figure chiave.

Ma le donne nella narrazione e nell’immaginario non ci sono e secondo una visione stereotipata l’inventore è uomo, mentre le donne sono classificate come “intuitive”, qualità fondamentale per inventare, ma poi non godano di alcun riconoscimento come inventrici, anzi in molti casi sono state derubate dei loro progetti da chi ha poi depositato i brevetti traendone guadagni.

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Dobbiamo comunque ricordare che molte donne hanno migliorato il mondo che conoscevano meglio, in una società che – per motivi storici e culturali per far valere le proprie idee (e invenzioni) bisognava essere uomini – hanno cercato e trovato soluzioni pratiche ed efficaci alle proprie sfide quotidiane.

Nomi poco noti, talvolta di donne semplici ma assai creative e determinate, che anche in epoche lontane hanno ideato oggetti, macchine, strumenti o metodi che hanno cambiato in meglio le nostre vite.

Qualche esempio?

Chi avrebbe mai pensato ad una lavastoviglie se non una donna? Fu l’americana  Josephine Cochrane che – nel 1886 – decise fosse arrivato il momento di accelerare e risparmiare tempo nel lavaggio di piatti, posate e bicchieri.

Oppure anche questo oggi scontato, perché essenziale – anche se a volte fastidioso – non vediamo l’ora di toglierlo a fine giornata. Parlo del reggiseno. Una vera e propria rivoluzione rispetto ai terrificanti corsetti che andavano di moda nel 1900. La scrittrice newyorchese Caresse Crosby, meglio conosciuta come Mary Phelps Jacob, pensava che le donne avessero bisogno di un sostegno più flessibile, meno pesante e che non generasse problemi strutturali, visto che la compressione del corsetto sulla cassa toracica portava a seri problemi di salute. Nel 1914 riuscì ad ottenere il brevetto per il primo reggiseno e possiamo proprio dirlo: ci ha cambiato la vita.

Ancora: se esistono i Baci Perugina lo dobbiamo ad una imprenditrice Luisa Spagnoli, che ha avuto l’illuminazione vincente nel 1920 di riciclare in modo intelligente nocciole e cioccolato, aggiungendo i celebri bigliettini che tutti conosciamo.

Tra le invenzioni concepite dalle donne per una reale necessità della comunità ci sono ad esempio il tergicristallo, il primo lampione pubblico a gas, la sedia a rotelle, il giubbotto salva-gente e perfino la scatola della pizza.

Com’è cambiata la situazione?

Grazie ad una maggiore inclusione delle donne in ambito STEM (abbreviazione di Science, Technology, Engineering, and Mathematics), la percentuale media di donne inventrici in Europa è cresciuta dal 2% (dato riferito al 1970) al 13,2% nel 2019. Il dato europeo è però inferiore a quello riscontrato negli USA (15%), in Cina (26,8%) e in Corea del Sud (28,3%).

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Tra gli stati membri EPO (Ufficio Europeo dei Brevetti), la Lettonia è quello che ha la percentuale più alta di donne inventrici (30,6%), seguita da Portogallo (26,8%), Croazia (25,8%), Spagna (23,2%) e Lituania (21,4%). I dati più bassi sono invece stati registrati in Germania (10,0%), Lussemburgo (10,0%), Liechtenstein (9,6%) e Austria (8,0%). L’Italia si colloca alla sedicesima posizione, con una percentuale di donne inventrici pari al 14,3% (lievemente superiore alla media europea).

Quali sono gli elementi da considerare?

Secondo l’Ufficio Brevetti Europeo

1) le donne che lavorano in università sono generalmente poco collegate all’industria e restano piuttosto confinate a modelli di carriera accademica più tradizionali rispetto agli uomini;

2) anche lavorando in team rimangono sottorappresentate, pur contribuendo in pari misura allo sviluppo delle invenzioni di alta qualità;

3) anche quando si ritrovano ad essere autrici di invenzioni, visto che nella maggior parte dei casi guadagnano meno dei loro colleghi di sesso maschile, non possono permettersi di ottenere e mantenere i diritti dei brevetti (perché come sappiamo anche la proprietà intellettuale ha un costo).

Come si può invertire la rotta?

Sicuramente bisogna incidere anche su fattori culturali ed educativi, come la scarsa partecipazione ai percorsi formativi ai percorsi STEM, visto che solo il 12% delle ragazze sceglie le discigline scientifiche, precludendendo di fatto la strada per la parità.

Come Consigliere di Parità siamo impegnate –  attraverso specifiche attività e progetti – a stimolare l’interesse per tali materie, dove le donne e le ragazze sono sottorappresentate, influenzate da stereotipi e pregiudizi che spesso ingabbiano soprattutto le ragazze nei percorsi di formazione e poi nel mondo del lavoro.

Falsamente si pensa che le donne sarebbero meno portate rispetto degli uomini agli studi tecnico-scientifici, ma sappiamo che così non è.

Per questo è importante orientare le ragazze a scegliere queste discipline che sviluppano competenze molto richieste dal mercato del lavoro generando una occupabilità a più elevato sviluppo oltre che meglio retribuita.

L’Ufficio della Consigliera di Parità della Città Metropolitana di Messina Via Dogali 1/D, 3°piano del Centro per l’impiego.

Si riceve per appuntamento contattando:

Segreteria Ufficio della Consigliera di Parità,

Dott.ssa Tania Cannameli, tel. 090/2984781, mail: gaetana.cannameli@regione.sicilia.it;

Consigliera di Parità: Dott.ssa Mariella Crisafulli

 

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