Lo scorso 18 settembre si è celebrata la Giornata internazionale della parità retributiva, istituita nel 2019 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unità, per sensibilizzare e provare a superare il gap retributivo tra uomini e donne.
Cos’è la parità retributiva
Si chiama gender pay gap ed è un’altra discriminazione di genere dovuta alla differenza che corre, a parità di mansione, fra lo stipendio di un uomo e quello di una donna. Riguarda non solo l’Italia, ma tutti i paesi del mondo e da qualsiasi punto si parta, il risultato finale non cambia: la busta paga delle donne è sempre la più leggera.
Le donne, infatti, guadagnano meno degli uomini, decisamente meno: la legge è uguale per tutti, i contratti pure, ma nel corso della loro vita lavorativa le carriere, le interruzioni, le scelte fatte o subite fanno sì che questa parità sia solo apparente.
Senza considerare che in Italia l’occupazione femminile resta tra le più basse d’Europa anche per colpa del divario Nord Sud che ci spinge giù in tutte le medie e che storicamente i lavori considerati “femminili” sono sempre stati lavori retribuiti poco e con pochi benefici, rispetto a quelli degli uomini.
Un rapporto diseguale con il reddito e con l’indipendenza economica accompagna le donne dall’infanzia alla pensione, esponendo le donne a un rischio maggiore di povertà e a delle pensioni minori. Con meno anni di contributi e con le retribuzioni più basse, purtroppo, questa è una conseguenza ovvia.
Secondo i dati rapporto Eurostat in Italia, una lavoratrice guadagna mediamente il 5% in meno di un uomo, mentre la media europea si attesta intorno al 12,7%. Il triste primato spetta all’Estonia con una differenza retributiva pari al 20,5%. Quello più virtuoso la Romania con un divario al 3,6%. Il Lussemburgo è l’unico paese europeo in cui addirittura le donne guadagnano lo 0,2% più degli uomini.
In alcuni settori poi il divario salariale è pesantissimo. Nel mondo dello spettacolo gli uomini guadagnano addirittura il 62% in più delle loro colleghe.
Quali sono le nuove misure che possono portarci verso una parità retributiva?
Qualche cambiamento arriverà entro il 2026 anche in Italia per gli effetti della nuova direttiva europea 2023/970 del 10 maggio 2023 che dovrà essere recepita negli ordinamenti nazionali entro giugno 2026, con nuove regole per superare il gender pay gap, contrastando ad esempio il segreto salariale che permetterà ai lavoratori e alle lavoratrici di conoscere gli stipendi dei loro colleghi.
In base alle nuove norme i datori di lavoro avranno l’obbligo di fornire alle persone in cerca di lavoro informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla fascia retributiva dei posti vacanti pubblicati. In sede di colloquio sarà inoltre vietato chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro.
Una volta assunti, i lavoratori e le lavoratrici avranno il diritto di chiedere ai propri datori di lavoro informazioni sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Avranno inoltre accesso ai criteri utilizzati per determinare la progressione retributiva e di carriera.
Sicuramente un bel cambiamento a cominciare dalla trasparenza.
Inoltre le imprese con più di 250 dipendenti saranno tenute a riferire annualmente all’autorità nazionale competente l’eventuale divario retributivo di genere all’interno della propria organizzazione. E se il divario retributivo dovesse risultare superiore al 5%, non giustificabile sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, le imprese saranno tenute ad agire svolgendo una valutazione congiunta delle retribuzioni in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori.
Ma sarà davvero efficace per abbattere le discriminazioni?
L’intento è proprio questo: la direttiva, applicata ai datori di lavoro sia nel pubblico che nel privato, stabilisce che i lavoratori abbiano informazioni chiare sui livelli retributivi senza clausole che impediscano di divulgare queste informazioni.
Inoltre, se i lavoratori e le lavoratrici hanno subito una discriminazione salariale immotivata possono anche richiedere un risarcimento che comprende “il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora”.
I datori di lavoro dovranno dimostrare di non aver violato nessuna norma europea sul Gender Pay Gap., già dalla selezione di nuovi dipendenti, facendo in modo che le offerte siano neutre dal punto di viste di genere e che le procedure di assunzione non siano condotte in modo discriminatorio.
Sicuramente un passo avanti e un ottimo aiuto nella lotta alla discriminazione di genere, ma la strada da percorrere per raggiungere la parità anche retributiva è certamente ancora lunga.
Per informazioni, rivolgersi all’Ufficio della Consigliera di Parità della Città Metropolitana di Messina, Via Dogali 1/D, 3°piano del Centro per l’impiego.
Si riceve solo per appuntamento contattando:
Segreteria Ufficio della Consigliera di Parità, Dott.ssa Tania Cannameli, tel. 090/2984781,
mail: gaetana.cannameli@regione.sicilia.it;
Consigliera di Parità: Dott.ssa Mariella Crisafulli, mail: m.crisafulli@regione.sicilia.it –
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