“SOLO QUANDO AVRAI UN FIGLIO POTRAI CAPIRE”. “NON SEI MAMMA QUINDI NON PUOI CAPIRE”. “SE NON AVRAI FIGLI TE NE PENTIRAI”.
Queste sono solo alcune delle frasi che tante volte ci siamo sentite ripetere o abbiamo pronunciato nel corso della nostra vita, perché la maternità è da sempre considerata qualcosa di sacro.
Ma si tratta di un concetto troppo spesso idealizzato. E si finisce per creare un mito intorno alla maternità che non fa bene né alla mamma né al figlio.
Certamente la maternità è contemporaneamente un’esperienza straordinaria, meravigliosa ma altrettanto sconvolgente.
Caratteristica del sentimento materno è, infatti, la sua ambivalenza.
La madre ama il proprio figlio ma nello stesso tempo può nutrire sentimenti di rifiuto nei suoi confronti, perché avere un figlio è un dono ma comporta fatica, sacrifici, stanchezza, soprattutto se non si è abbastanza supportati dal proprio partner o dalla propria madre. Certo non è facile ammetterlo. Vergogna e sensi di colpa ci impediscono spesso di accedere a questi pensieri.
Accettare di essere ambivalenti è molto importante. Ammettere di provare sentimenti di amore e odio, di accudimento e di rifiuto, emozioni che, a volte, non possiamo spiegare logicamente neanche a noi stesse, consente di accedere ad una genitorialità più sana.
Ci sono donne che pur avendo desiderato tanto l’arrivo di un bambino, si scoprono inadatte in questo ruolo, pur amandolo.
Ci sono bambini più impegnativi di altri, piagnucolosi, difficili da gestire anche per le mamme più amorevoli e attente.
Un amore materno “sano” dovrebbe essere incondizionato. Ma questo richiede profonda cura ma soprattutto accettazione dell’altro rinunciando alle proprie aspettative, evitando di proiettare sul figlio i propri bisogni e le proprie aspirazioni.
La gravidanza e il parto non provocano in automatico un’inondazione improvvisa di tenerezza e affetto.
A volte smuovono altre emozioni, come ad esempio rabbia, paura, sensazione di non essere all’altezza del compito.
La maternità è un momento di vita che richiede necessari cambiamenti evolutivi.
Per innamorarsi può volerci tempo. E comunque pur amando il proprio figlio può capitare di sentirsi arrabbiate, stanche, in qualche momento disperate, depresse, oppure apatiche.
Da sempre il concetto di maternità è stato mitizzato e la figura materna quasi santificata.
Ma la donna oltre alla possibilità di generare ha anche quella di abortire e questo le conferisce quasi un potere assoluto, quello di poter dare la vita ma anche la morte.
Ci sono donne che si ritrovano di fronte ad una gravidanza non desiderata e a dover fare i conti con le diverse reazioni che ne scaturiscono. Ci può essere un’accettazione passiva, ci si può rassegnare, oppure si può provare rabbia e sentire la gravidanza come un’ingiustizia e a volte decidere di abortire. Ma l’aborto volontario è inevitabilmente traumatico e carico di sensi di colpa con cui spesso la donna si troverà a fare i conti per il resto della vita.
Consideriamo inoltre l’impatto che la gravidanza ha sulla donna. A volte, in fasi più avanzate della gravidanza, la donna può sentirsi invasa dal bambino, lo può sentire come un parassita, quasi come una crescita tumorale.
Ci sono poi donne che temono la maternità, che la rimandano all’infinito, che non tengono conto, in modo difensivo, dei tempi impressi dal destino biologico nel corpo femminile.
Come abbiamo visto dunque il concetto di maternità ha varie implicazioni.
Tuttora una donna senza figli viene considerata incompleta, mancante di qualcosa, a volte caricata di un’identità negativa.
Si può scegliere di non avere figli? Sì, si può.
Si può scegliere di dare la vita a idee, ad altre opere e attività, di essere madri di progetti, per se stesse e per gli altri.
Eppure le donne continuano a considerare la possibilità di avere un figlio come un destino o una missione, più che come una scelta. Con quel sottinteso “qualsiasi cosa tu faccia avrà comunque meno valore di un figlio”.
È pur vero che ci sono donne senza figli che si sono pentite di non averne avuti, così come ci sono però donne con figli che sono oggi madri pentite.
Spesso non avere figli viene visto come legato a un “rifiuto” o a una “mancanza”. Ma ovviamente non è sempre così. Si diventa madri in molti modi. Per amore o per caso, perché si partorisce un bambino o perché si adotta, per convinzione, per convenzione.
Ma ci sono donne che decidono di non avere figli per vari motivi. E ci sono donne senza figli che sono più materne di una donna con figli. Si può essere madri prendendosi cura dell’altro nella corsia di un ospedale, o in uno studio medico, trasmettendo il proprio sapere, e non solo, nelle scuole, facendo volontariato. Madri che sono tali, pur senza figli. Perché si può essere madri semplicemente prendendosi cura dell’altro.
Si può essere madri persino della propria madre, o del proprio padre, quando questi hanno bisogno di sostegno. Si può essere madri occupandoci e preoccupandoci per qualcuno.
La capacità della madre di ricevere le impressioni emotive e sensoriali del neonato e di elaborarle in una forma che la psiche del neonato possa assimilarle, è denominata in psicoanalisi col termine di reverie. Con la reverie la madre mette la propria mente al servizio di quella, ancora immatura, del bambino. Con la reverie la madre provvede al bisogno di amore e di comprensione del bambino, così come con il latte provvede al suo nutrimento. Si può essere madri dunque mettendo a disposizione la propria mente materna nell’aiutare l’altro nel proprio percorso di crescita.
“Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai”
“La cura” Franco Battiato