I SOCIAL E LA CULTURA DELL’APPARIRE. COSA C’È DIETRO IL BISOGNO DI MOSTRARSI

Perché sempre più persone hanno la “necessità” di manifestare il proprio pensiero sui social? Perché si rifugiano nel mondo virtuale? Rifuggono quello reale? Non lo accettano? Cosa c’è dietro il bisogno di mostrarsi?

Dalla loro nascita ad oggi sempre più persone sono iscritte ad un social e il loro affanno di apparire è molto forte.

Ma cosa si cerca nel mondo virtuale? Il consenso? Il contradditorio? Cosa si vuole dimostrare? Siamo davvero così felici come dimostriamo sui nostri profili?
Sui vari profili social dei nostri tanti “amici” virtuali è facile imbattersi in post di persone felici ed innamorate accompagnate da hashtag o frasi famose a dimostrare un amore da favola o foto di genitori con i figli a mostrare la loro felicità di essere genitori “perfetti” di bambini “perfetti”, o ancora, fin quando si poteva, persone in viaggio per il mondo che sfoggiavano sorrisi smaglianti.

Come detto siamo sempre più frequentemente connessi a internet e ai social network, ancora di più a seguito della pandemia. Essi ormai fanno parte della nostra quotidianità. Così come fanno parte della nostra routine quotidiana concetti come “postare” o “farsi un selfie”.

Ma quale realtà mostriamo attraverso i social?

Certo appartiene a tutti il bisogno di piacere agli altri ed il desiderio di approvazione sociale. Ormai i miti dei ragazzini, e non solo, sono gli youtuber e gli influencer, non più i divi del cinema, così come sono cambiati i sogni da realizzare “da grandi”. Molto passa dunque attraverso la rete ed i social.

Ma il mondo virtuale rispecchia quello reale?

Sarebbe illusorio pensare che esistono persone che vivono h24 in uno stato di massima felicità e benessere o che il mestiere del genitore non comporti anche fatica, stanchezza e preoccupazioni. È chiaro che non tutto quello che vediamo sui social è un riflesso della realtà e che tutti noi abbiamo dei momenti di stanchezza, di tristezza, di ansia e di preoccupazione durante la giornata. Avere delle brutte giornate fa parte della vita e ci fa apprezzare maggiormente i momenti positivi. Nessuno ha una vita perfetta. La maggior parte delle persone postano foto o frasi che hanno lo scopo di proiettare un’immagine positiva (allo scopo di ricevere tanti feedback positivi), allo scopo di dimostrare agli altri quanto sono felici, anche se non è davvero così o non ne sono davvero convinti. Certo l’immagine è la prima cosa che si usa nell’interagire con l’altro. È logico che, vivendo di relazioni, l’apparenza diventi una manifestazione necessaria.

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Da sempre l’uomo, in quanto animale sociale, ha avuto il bisogno di sentirsi accettato, amato e stimato. I social danno la possibilità di mostrare un’immagine di sé che però spesso non rispecchia la realtà, di ostentare una maschera che dà un’immagine del soggetto illusoria e distorta rispetto alla realtà. Per di più la nostra società basata sull’immagine sicuramente non aiuta, proponendo una cultura fatta di icone generate dal mondo della moda, dello sport, dello spettacolo e della televisione che si mostrano sempre al meglio, sempre sorridenti come se per loro la vita
fosse ogni giorno una festa.

Ma la loro vita è davvero così perfetta come sembra?

Siamo tutti un po’ narcisisti e i social rappresentano attualmente il palcoscenico ideale sul quale esibirsi. La parola chiave diventa “condividere”. Condividere particolari della propria vita privata, anche se banali, per cercare costanti attenzioni e conferme, sulla propria bellezza e simpatia, ma soprattutto sulla possibilità di piacere e di sentirsi desiderati e/o invidiati. Si fa di tutto per stare sempre sul palco, sulla scena, per essere e rimanere protagonisti a tutti i costi.

Perché molti si rifugiano nel mondo virtuale?

Viviamo in una società che ci ha reso più soli e quindi più insicuri Dal momento che manca la certezza del proprio valore, inizia la ricerca di notorietà e di consenso in altri contesti. Maggiori sono i like e i commenti positivi, tanto più l’individuo si sentirà gratificato, adulato, adorato e desiderato. Così facendo però si rischia di perdere un valore prezioso, ossia la propria individualità, solo per esaltare un’immagine di sé e incrementare il consenso mediatico.
Ma è nella realtà come effettivamente è e non come appare che possiamo dimostrare la nostra unicità e il nostro reale valore.
Postare foto di sorrisi non ci rende più felici e nemmeno immortalare un bacio rende il nostro amore più vero e profondo. È meglio godersi un paesaggio o un tramonto vivendo il momento piuttosto che affannarci a fare la foto più bella da condividere in rete.

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Ma accanto alle persone che mostrano la loro felicità sui social ce ne sono anche altre che li usano per esprimere la loro rabbia.

È il caso di coloro che usano la rete come luogo in cui poter esprimere il proprio sfogo personale, per attaccare, denigrare e minacciare qualcuno, per sfogare il proprio disagio interiore e le proprie frustrazioni. In più ciò che è scritto manca dell’intonazione emotiva e ciò lo rende interpretabile su base personale, in base al proprio stato d’animo del momento.
I social sono una grande piazza, nella quale la gente cerca di trovare uno  spazio personale, forse quello spazio che altrove non trova, che gli permette di dare libero sfogo ai propri pensieri.

L’aggressività non è di per sé negativa, fa parte dell’uomo, serve per la sopravvivenza. È una forza vitale che ciascun essere vivente possiede e senza la quale l’uomo non riuscirebbe neanche a realizzarsi nella vita. È ciò che ci permette di far fronte a situazioni critiche o di grande impegno, che ci è persino utile per mettere in pratica il nostro potenziale. Ma se viene mal veicolata e gestita, può diventare distruttiva per sé e per gli altri. La mancanza di calore emotivo, la mancanza di supporto e l’assenza di sistema educativo possono essere terreno fertile dello sviluppo dell’aggressività negativa.
Per loro stessa natura le relazioni sociali virtuali, proprio grazie alla mancanza di conoscenza diretta, permettono la caduta dei freni inibitori, favorendo così espressioni di rabbia altrimenti inibite. La sensazione di mancanza di responsabilità, proprio in quanto soggetti incorporei, arroga a sé il diritto di poter dire qualsiasi cosa, senza curarsi delle conseguenze per sé e per gli altri, come se non fossero cosa che ci riguarda, che ci appartiene.
Ricordiamoci sempre che i social e il loro funzionamento meccanico e standardizzato rinforzano gli aspetti narcisistici del sé perché ci mettono in mostra ma senza metterci in gioco. Così la relazione non diventa un’esperienza arricchente e maturativa ma solo qualcosa destinata a consumarsi nel qui ed ora.

“Sono più le cose che ci spaventano che quelle che fanno effettivamente male, e siamo travagliati più per le apparenze che per i fatti reali.”
Seneca

 

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