“Non devo mangiare, devo dimagrire, non devo sgarrare, devo essere magra/o”. Il rapporto col cibo non è sempre sereno. La maggior parte di noi almeno una volta nella vita ha pensato di volere/dovere mettersi a dieta.
Veniamo da un periodo in cui rimanendo per molto tempo in casa e non avendo molti stimoli esterni ci siamo rifugiati nel cibo per colmare il vuoto e la paura che la pandemia ci ha causato.
Ma perché il rapporto col cibo è spesso così difficile? Già da neonati comunichiamo con la mamma attraverso il cibo. Un bambino che non mangia, che fa i capricci o che mangia voracemente e non si sazia mai, sta comunicando qualcosa. Attraverso il cibo avviene un importante scambio emotivo tra mamma e bambino.
Una madre distante affettivamente anche se presente rispetto al proprio ruolo, può far percepire al bambino il cibo come surrogato dell’affetto e questi, diventato adulto, potrà assumerlo con questa stessa valenza. In questo caso le emozioni vengono canalizzate prevalentemente attraverso il cibo e l’elaborazione psichica del disagio è sostituita dalla gratificazione che proviene dalle sensazioni corporee.
Non mangiamo, dunque solo per nutrirci e avere la quota di energia che ci serve per affrontare la giornata, ma attraverso il cibo esprimiamo molto di più. Certamente sarà capitato a molti di sentire, in alcuni momenti della vita, quell’impellenza di mangiare pur non avendo fame e alimentarsi per ragioni che esulavano dal nutrimento in sé, di sperimentare la cosiddetta “fame emotiva”.
La dipendenza dal cibo.
Il cibo può rappresentare una valvola di sfogo, un rifugio, una sostanza analgesica contro le sofferenze vissute durante la giornata, o contro situazioni di disagio o di conflitto. Pertanto stati d’animo come ansia, depressione, stress, possono influire sul rapporto con il cibo e causare un aumento di peso. Spesso il cibo non è gustato, ma ingurgitato per riempire in fretta un opprimente senso di vuoto interiore, confuso con la sensazione di fame. Mangiare, o meglio abbuffarsi, allora, può diventare, in mancanza di altre possibilità espressive, una risposta a difficoltà affettive ed emotive.
Il cibo può compensare un’affettività carente o non gratificante, può placare un’aggressività non altrimenti esternata, può attenuare momentaneamente stati d’ansia o sintomi depressivi, può consolare da delusioni, fallimenti o eventi traumatici. Spesso la rabbia, la tensione, la noia ed altre emozioni vengono confuse con la fame.
Ecco allora che ci imponiamo di metterci a dieta.
Il nostro cervello, però, mal sopporta i divieti e le imposizioni. E tutto ciò che è vietato rischia di diventare un’ossessione.
L’effetto “frutto proibito”.
Quando qualcosa è proibito, pericoloso, inaccessibile o difficile, ci attrae di più, subentra il cosiddetto “effetto frutto proibito”. Quando una cosa è vietata, desta in noi interesse e curiosità. L’effetto frutto proibito si manifesta in ogni essere umano e deriva dal desiderio di conoscere ciò che è sconosciuto, scoprire le conseguenze di ciò che si ritiene pericoloso. Noi non amiamo i divieti né le imposizioni, poiché ci appaiono come minacce alla nostra libertà.
Periodi di restrizioni alimentari fanno parte della vita quotidiana di molti di noi, ma se ciò diventa una vera e propria ossessione rispetto a ciò che si deve o non si deve mangiare e si accompagna alla paura di ingrassare, siamo difronte ad una vera e propria patologia. Spesso c’è una linea sottile tra il mangiare sano per dimagrire ed il diventare ossessionati dal cibo.
L’ortoressia: quando il mangiare sano diventa un’ossessione.
Questa forma di attenzione abnorme alle regole alimentari, alla scelta del cibo e alle sue caratteristiche è stata definita ortoressia, anche se questo termine non è riconosciuto tra i disturbi alimentari delle attuali classificazioni.
Stare attenti alla propria alimentazione, seguendo una dieta ricca ed equilibrata, è certamente il primo passo per tenersi in salute. Ma quando il “mangiare sano” diventa un’ossessione, possono insorgere complicazioni anche gravi.
Alcune persone sono maggiormente predisposte a sviluppare tale ossessione, in particolare sono le persone che tendono a tenere tutto sotto controllo, che tendono al perfezionismo, le persone ansiose. Escludere dalla propria dieta un numero elevato di alimenti vuol dire perdere peso ma spesso anche mangiare in maniera poco equilibrata. Ciò in alcuni casi potrebbe portare a sviluppare patologie legate alla carenza di alcuni nutrienti importanti ad esempio per le ossa, ma anche per i vari apparati.
Spesso alla base dei disturbi alimentari vi è un conflitto tra l’estremo bisogno di vicinanza e la paura di essere intrusi e occupati dall’altro.
La coppia anoressia/bulimia rappresenta la concretizzazione di un paradosso: “ciò di cui ho bisogno mi minaccia”. Come è ormai riconosciuto da vari psicoanalisti, l’anoressia e in generale i disturbi alimentari rappresentano solo una variante delle condotte di dipendenza che celano il bisogno di riconoscimento legato ad una grande insicurezza interna.
Il timore di essere invasi da un eccessivo bisogno dell’altro porta ad una chiusura all’esterno e al rifiuto del cibo. In più usiamo il cibo come premio o come consolazione e la fame emotiva finisce quindi, come abbiamo visto, per indossare diverse maschere.
È possibile soddisfare la fame emotiva in un altro modo?
Cosa possiamo fare per uscire dall’ossessione e dalla dipendenza dal cibo?
Innanzitutto è importante imparare a conoscersi e a riconoscere i segnali che vengono dal nostro corpo, iniziare a capire se il bisogno di mangiare è legato al bisogno di nutrirsi oppure se è espressione di un bisogno diverso (bisogno di riempire un vuoto affettivo, di placare l’ansia, di coprire un’insoddisfazione o una frustrazione).
Rinunciare all’idea di perfezione.
Prendersi il tempo necessario per raggiungere i propri obiettivi.
Imparare a volersi bene e ad accettarsi per quello che si è.
Lasciarsi andare ogni tanto alla tentazione.
Citando Oscar Wilde “l’unico modo per liberarsi da una tentazione è cedervi”.