“YOUNG GENERATION” FRA REALE E VIRTUALE

Questi complessi giorni di pandemia vedono  protagonisti anche i giovani ed i giovanissimi. Si parla spesso dei loro disagi con la didattica a distanza, dei folli giochi sui social che la scorsa settimana hanno portato alla morte una ragazzina a Palermo, dei disagi che anche  loro stanno vivendo a causa del covid, a quella libertà negata che da quasi un anno sta togliendo alle young generation la libertà e la spensieratezza dei loro “coetanei di ieri.”

Ed ai problemi di un mondo reale vissuto a metà (se va bene) supplisce il mondo virtuale, un mondo non perfetto che merita  diverse riflessioni.

E di giovani parliamo con chi i giovani, ogni giorno, anche lui per ora da remoto li incontra, li conosce e li forma. Francesco Pira,  professore associato di sociologia del processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina, Delegato del Rettore, Cuzzocrea, alla Comunicazione dell’Ateneo.

Pira è Coordinatore Didattico del Master in Social Media Manager, esperto di social network, Presidente dell’Osservatorio Nazionale di Confassociazioni sulle Fake News, componente dell’Osservatorio nazionale di PA Social e dell’Istituto Piepoli sulla Comunicazione Pubblica e dell’Osservatorio del Corecom della Regione Siciliana su Internet e soggetti vulnerabili.

A breve Pira, impegnato da anni in una battaglia contro le fake news, il cyberbullismo e le devianze della rete e la violenza sulle donne, pubblicherà un saggio su “Figli delle App”.

  • Professore Pira in che modo sono cambiati i giovani dalla pandemia in poi, e che giovani sono quelli di oggi “modificati” dalla routine della pandemia?

Penso che come noi stiano soffrendo questa “reclusione forzata” a cui si aggiunge una coabitazione forzata. Hanno moltiplicato la presenza sui social network. Ma i giovani non sono marziani, lo ripeto costantemente, sono i nostri figli, quelli che noi abbiamo educato dando loro delle regole. Sento spesso ripetere due cose che mi fanno preoccupare: genitori che dicono di essere amici dei figli e altri che scaricano le responsabilità delle devianze della rete sui “social network”. Sono strumenti e contenitori che noi alimentiamo. I giovani, dalle mie ricerche, escono fragili e pieni di paura per il loro futuro. Convinti che devono espatriare per trovare lavoro, immersi in una società liquida.

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 –  In che modo il virtuale ha sostituito il reale? Sembra che rispetto agli adulti loro siano stati quelli, che grazie ai contatti mantenuti con il virtuale, abbiano sofferto meno dell’assenza della vita reale.

Questo è normale. Sono la generazione app. Loro hanno un’applicazione per tutto quello che devono fare. Noi abbiamo difficoltà a capire come funziona uno smartphone. E’ questo gap tecnologico che ci separa. Cosi come i nuovi codici e i nuovi linguaggi. Per loro videochiamare, chattare, fare video, documentare ogni momento della giornata è normale. Così come sviluppare amicizie e amori on line. Unica avvertenza essere connessi non significa avere relazioni. E spesso la superficialità e la velocità uccidono anche i sentimenti. Il virtuale fa parte del nostro quotidiano ma non è il reale.

  • Cosa rappresentano per loro i social come i tiktok, twitch, instagram. Cosa significano per loro  personaggi come Loren Gray che hanno 51 milioni di follower su tik tok ed altri influencer.

I social sono depositi dove ogni giorno vivono ore ed ore e comunicano l’identità che vogliono far percepire al “pubblico” che hanno scelto. Sui social citati vetrinizzano la loro vita riproducendosi in emulazioni di personaggi che sono per loro dei miti. Niente di nuovo sotto il sole. Noi avevamo i poster nella stanza dei nostri miti, loro hanno la possibilità di seguire le vite degli idoli di sapere come fanne colazione o dormono. Gli influencer sono esempi per loro. Però è rischioso il messaggio che passa quotidianamente che uno vale uno. Molto diverso da quello cantato da Gianni Morandi uno su mille ce la fa. Non tutti possono diventare Loren Gray o Chiara Ferragni.

  • Come guardano i giovani agli adulti, quanto li sentono “vecchi“? o se ancora riescono a vederli come una guida
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Noi siamo adulti diversi dai nostri genitori e ancor di più dai nostri nonni. Siamo adulti che non vogliono invecchiare. Adulti-infantili che hanno paura delle rughe, che si depilano, che fanno chirurgia estetica perché il tempo non può e non deve passare. Ci sono ultraquarantenni che vanno in giro con gonne da quindicenni e con zainetti da sedicenni. Tutto sembra mischiato a volte capovolto. Anche l’uso dei social da parte degli adulti non sempre è moderato e adeguato all’età. Questo ci allontana. Più che vecchi spesso ci ritengono inadeguati. A loro basta dire: tu non puoi capire…o non capisci un c…. per chiudere una discussione. Noi adulti dobbiamo comprendere che oltre all’autorità serve l’autorevolezza. Noi mi piace ricordare che bastava uno sguardo dei nostri genitori per fulminarci. Erano altri tempi, altre situazioni. Quegli atteggiamenti collocati nel nostro spazio-tempo attuale sembrano lontani anni luce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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