La notizia ha colto il mondo alla sprovvista in un pomeriggio di Novembre: è morto Maradona!
Ed il mondo, sfiancato ed ormai dolorosamente “abituato” a contare quotidianamente le vittime della pandemia, si è ritrovato contemporaneamente orfano di uno degli sportivi più grandi di sempre e di uno degli uomini più discussi di sempre.
Commemorando a caldo Diego Maradona, nato sessant’anni fa a Villa Fiorito, un sobborgo tra i più poveri di Buenos Aires, quasi tutti gli addetti ai lavori hanno concordato su un punto: è impossibile scindere il Diego uomo dal Diego atleta.
Io, che tifo per il Napoli dalla nascita, confesso candidamente di aver amato Diego nel suo insieme, anche se ciò può apparire a qualcuno stolto o insensato.
Non ho mai condiviso gli eccessi dell’uomo Maradona, quello no. Ho anzi odiato le sue debolezze, le sue dipendenza dalla cocaina e dall’alcool e tutte quelle scorciatoie che Diego ha percorso nella sua troppo breve vita. Lo faceva forse per andare in cerca di una propria dimensione nello spazio, per ritrovarsi in una condizione differente da quella “divina” in cui veniva proiettato ogni giorno da chi, a qualunque titolo, gli girasse intorno.
Da tifoso ho odiato il fatto che quelle debolezze, nell’insieme, siano costate a lui ed al Napoli ulteriori successi sportivi. Umanamente mi è poi sempre spiaciuto che i suoi troppi “passaggi a vuoto” abbiano permesso a chiunque, anche senza titolo, a parlare di Maradona come di un esempio negativo. Proprio lui che ha urlato ai quattro venti, in ogni circostanza utile, che non aspirava ad essere d’esempio per nessuno.
L’uomo che è sempre emerso dai racconti dei compagni di squadra, dai ricordi di chi lo aveva conosciuto, dalle sue battaglie pubbliche contro ogni establishment, sportivo o politico che fosse e dal suo costante impegno a favore degli ultimi, quell’uomo invece l’ho sempre amato. Tanto quanto ho amato il calciatore, unico nel suo genere e che mi ha regalato gioia, non solo sportiva, come nessuno mai.
Il mio percorso scolastico, a cavallo tra la metà degli anni ’80 e la metà degli anni ’90, è andato di pari passo con i successi sportivi del Napoli di Maradona: due scudetti, una coppa Italia ed una coppa Uefa che ho sempre festeggiato praticamente “in beata solitudine”, in una Messina, almeno quella rappresentata dai miei compagni di scuola, che si divideva tra l’amore per la squadra della città ed il tifo per i grandi club: Juventus, Milan ed Inter soprattutto. Come potrei non essere grato a Maradona per le soddisfazioni giovanili che mi ha regalato senza saperlo!
Dal 1994 al 2007, per tredici anni consecutivi, ho vissuto a Napoli per motivi prima di studio e poi di lavoro. Ed è stato lì che ho finalmente capito cos’era Maradona e che mi sono calato appieno in quel fenomeno sportivo e sociale.
La Napoli che mi accolse nel 1994 era quella di Bassolino, il sindaco della cosiddetta primavera napoletana e dell’immediato post Maradona. Diego era fuggito dalla Campania in una notte del marzo 1991, dopo che da un controllo antidoping era emersa la sua positività al metabolite della cocaina.
Io mi ritrovai catapultato in una città vitale, che sprizzava voglia di crescere e di cambiare e che lottava per staccarsi di dosso determinate e spesso ingiuste etichette. Ma era una Napoli orfana del suo Re ma anche una città che non era disposta a dimenticare e che ti faceva ritrovare Diego Maradona in ogni anfratto ed in ogni parola.
Dall’edicola votiva di Piazzetta Nilo, meta di pellegrinaggio posta nel ventre popolare della città, che custodiva e tuttora custodisce un “presunto” capello del campione argentino, ai murales, ai racconti della gente. Ho incontrato poche persone a Napoli che non avessero un ricordo, vero o fantasioso che fosse, che le legasse a Maradona.
Perchè Maradona è stato Napoli fin dal primo istante. Fin da quel 5 luglio del 1984 quando, dopo una estenuante trattativa durata quasi due mesi e che coinvolse la politica campana ed anche una delle Istituzioni più antiche della città, il Banco di Napoli ( che concesse al Presidente Ferlaino il fido bancario necessario per chiudere la trattativa con gli spagnoli del Barcellona ), il Pibe de Oro calcò per la prima volta il prato dello stadio San Paolo presentandosi davanti a circa 60 mila persone in delirio.
In quell’occasione, per motivi di ordine pubblico, fu richiesto ai presenti di pagare un biglietto di accesso del valore di mille lire. Era il prezzo da pagare per assistere a qualche palleggio di Diego e per ascoltare le sue prime parole da napoletano. Il ricavato venne devoluto in beneficenza: fu quello il primo regalo che Maradona, forse senza saperlo, fece ai napoletani.
Ma nella città di Napoli sono in tantissimi a certificare che le “buone azioni” del Pibe, durante la sua permanenza in Campania, furono centinaia.
Come quella volta, nel gennaio del 1985, che per aiutare un bambino malato e che necessitava di costose cure mediche, non esitò ad infangarsi, letteralmente, nel campo sportivo di Acerra, un paese dell’hinterland partenopeo. Si racconta che Corrado Ferlaino, il Presidente di un Napoli che in quel momento stava lottando per non retrocedere in serie B, non volesse rischiare infortuni né per Maradona ( che era assicurato presso i Lloyd’s di Londra), né per gli altri calciatori partenopei coinvolti nella partita di beneficenza.
L’asso argentino si impuntò perchè quella partita, secondo lui, andava giocata a tutti i costi: pagò di tasca propria i 12 milioni di lire che, a quanto è dato sapere, erano richiesti per garantire la copertura assicurativa anche in quel caso specifico e sotto la pioggia battente, in un campo fangoso, onorò l’impegno preso con la gente
( questo video regala una testimonianza di quel giorno
Mi è capitato due volte di trovarmi molto vicino a Diego Maradona e furono due circostanze che non scorderò mai. Nella prima mi trovavo su una nave diretta in Sardegna, l’Espresso Venezia, negli ultimi giorni di giugno del 1985. Ero un bambino di 10 anni, seduto per cena al ristorante della nave con la mia famiglia. Ad un tratto un ragazzino seduto in sala esclamò ad alta voce: “Papà, c’è Maradona!”. E da quel momento in poi si capì ben poco: l’affetto incontrollato ed incontrollabile dei presenti lo travolsero letteralmente e Diego fu costretto a riparare in cabina per cenare. Cominciai a capire che Diego Maradona non era una persona come le altre: la gente lo idolatrava già, nonostante non avesse ancora vinto nulla con la maglia del Napoli.
La seconda volta che lo vidi da vicino fu nel giugno del 2005 quando, 14 anni dopo la sua fuga notturna, Diego Maradona fece ritorno a Napoli in occasione della partita di addio al calcio di Ciro Ferrara. Anche in quell’occasione fu il delirio, con folle impazzite che “marcarono” il Pibe dal suo arrivo in aeroporto fino alla sua ripartenza, come forse neanche un arcigno terzino aveva mai fatto. All’esterno dell’albergo del centro di Napoli che lo ospitava e dove molto defilato c’ero anch’io, quel giorno si assieparono centinaia e centinaia di persone vogliose di mostrare rumorosamente al mondo intero l’amore mai sopito che una città intera nutriva ancora e spasmodicamente per uno dei suoi figli prediletti.
Perchè Maradona è Napoli e Napoli è Maradona: oggi forse ancor di più e al di fuori da ogni retorica.
Perchè Maradona, anche e soprattutto con le contraddizioni che ne hanno caratterizzato l’esistenza, ha rappresentato nel contempo la voglia di riscatto ed il riscatto stesso di una terra ricca di cultura e di civiltà ma da sempre e spesso per colpe intestine, martoriata dalla malapolitica e dalla camorra.
Beppe Bruscolotti, il capitano storico del Napoli pre maradoniano (cedette proprio al fuoriclasse argentino i gradi ), in una commossa intervista rilasciata ieri pomeriggio ad un’emittente locale napoletana ha dichiarato testualmente: “Diego ci ha tolto gli schiaffi dalla faccia!”. Credo sia una sintesi colorita ma efficace per raccontare, infine, cosa sia stato Maradona, nello sport e nella vita.
Ha lasciato i sobborghi di Baires, migliorando la condizione sua e della sua famiglia ma senza rinnegarli mai, raccontandoli piuttosto al mondo come luoghi ricchi di umanità e di vita, come luoghi da recuperare. Ha regalato dignità sportiva sia al Napoli che alla Nazionale Argentina, regalando ad entrambe traguardi mai raggiunti prima. Ha ricollocato, forse inconsapevolmente ed a volte strumentalmente, la città di Napoli e la questione meridionale al centro del dibattito nazionale, non solo sportivo. E lo ha fatto come pochi prima di lui erano riusciti a fare. Si è battuto ovunque ritrovasse un Sud del Mondo per cui valesse la pena spendersi e lottare. E lo ha sempre fatto a sue spese, in una chiassosa e spesso pacchiana solitudine, andando contro tutti, a torto o a ragione, purchè quei tutti fossero, almeno ai suoi occhi, potenti e “mafiosi”. E lo ha sempre fatto in modo onesto nei confronti della gente, che lo amava e lo amerà per sempre per questo e non solo per il suo essere un Campione. Meno onesto, Diego Maradona, lo è stato solo nei confronti di se stesso, ma questa è un’altra storia.
DI Giuseppe Capasso