COME NASCE “LA FESTA DEI MORTI”.

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Da sempre l’uomo ha onorato i propri defunti. Un particolare rispetto verso i propri antenati anche con significativi riti magico – religiosi.

Gli antichi romani celebravano i propri defunti il 21 Febbraio con dei festeggiamenti denominati Feralia. Offerte e sacrifici venivano dedicati alla memoria dei trapassati. Lo stesso termine Feralia deriva da Fero, verbo latino che indica il portare qualcosa, ed in effetti precisa il fatto che si ricordavano gli antenati omaggiandoli con doni alimentari, deposti sulle loro tombe.

Con l’avvento del Cristianesimo si mantiene questo singolare rapporto, anzi si rafforza, dato che la morte segna per il credente la rinascita in Cristo, ma anche nella tradizione cristiana si perpetuano credenze di tradizione pagana. Nodo focale della Festa dei Morti era ed è la preghiera fatta in suffragio delle loro anime ma anche la visita alle loro tombe.

Oggi quest’ultima pratica si lega alla visita dei cimiteri, ma bisogna ricordare che fino a metà ottocento i cimiteri non esistevano ed i luoghi di sepoltura erano le cripte delle chiese. Alcuni di questi luoghi ipogeici permettevano ogni anno la visita ai corpi imbalsamati dei defunti, come è possibile farlo ancora oggi nelle grandiose catacombe dei Cappuccini di Palermo o anche nei più ridotti ambienti dei Cappuccini di Savoca.

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 A Messina, fino all’esproprio dei beni ecclesiastici del 1866, si potevano visitare le ormai distrutte catacombe della Chiesa di Santa Maria della Concezione, sempre dei frati Cappuccini, che si trovava nel Colle della Versa, nell’area in cui oggi sorge il complesso dell’Ignatianum. Questi ampi spazi, ove erano sepolte personalità della Messina dei secoli passati, verranno stravolti prima dalla trasformazione in carcere  femminile del convento, poi dai danni del terremoto del 1908 e dalla ricostruzione.

A Messina, oltre che ai Cappuccini, le sepolture erano allocate anche nelle cripte delle antiche chiese parrocchiali, come documentano ancora oggi i vecchi registri dei defunti. Non vanno dimenticate le sepolture delle numerose confraternite peloritane che si trovavano anch’esse nel sottosuolo delle proprie chiese.

 In riva allo Stretto ogni professione o categoria sociale aveva la propria confraternita e gli aderenti godevano del diritto di sepoltura nella stessa chiesa confraternale, come è ancora documentabile attraverso le strutture funerarie ipogeiche della chiesa dei Catalani, della chiesa di San Paolino o di Santa Maria del Monte di Pietà. Questa peculiare tradizione funeraria di questi pii sodalizi continuò anche all’interno del nuovi cimiteri con l’erezione di apposite cappelle che ancora oggi testimoniano, in particolare nel Gran Camposanto di Via Catania, questa benemerita usanza.

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Ma ritornando al Fero dei Romani, nel giorno della commemorazione dei defunti in Sicilia ed anche a Messina era usanza apparecchiare la tavola la sera tra l’1 e il 2 Novembre per la visita notturna degli spiriti dei defunti, lasciando bevande e pietanze. I morti, secondo tradizione, lasceranno solitamente ai bambini dolciumi e regali. Dolcimi come frutta martorana, pupi di zucchero o i caratteristici ossi di morto e regali acquistati un tempo in vere e proprie fiere dei giocattoli.

Usanze e riti che vanno riscoperti per riannodare, simbolicamente per un giorno, la terra al cielo.

Marco Grassi.
La frutta martorana, dolce tipico della ricorrenza dei defunti.

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